Internet in classe? Poco o niente usato con gli insegnanti. Solo uno su dieci lo ha utilizzato ogni giorno. E’ quanto rivela una ricerca dell’Eurispes e di Telefono azzurro, presentata oggi a Roma.

Eppure, aggiungo io, i ragazzi – quelli tra i 12 e i 18 anni – il web, in aula, lo usano tutti i giorni. Sotto il banco. Basta, ad esempio, dare una rapida scorsa ai teenagers online tra i propri contatti – tanto di Gtalk che di Facebook – per scoprire come i loro smartphone siano perennemente accesi e connessi alla Rete in orario di lezione. La modalità silenziosa evita loro di esser smascherati e puniti per aver violato i divieti scolastici sul cellulare in classe.

Questo del vietare l’uso di dispositivi elettronici in classe è uno dei piccoli, ma sostanziali, paradossi della scuola italiana, nella quale d’altronde il 72% del campione ha riferito che i propri insegnanti non hanno mai parlato in classe, nell’ultimo mese, di temi riguardanti la sicurezza in Internet. Negli Stati Uniti – seppur non dappertutto (qui alcuni esempi) – è invece attivo il movimento Byod (Bring your own device, porta il tuo apparecchio): mettere a disposizione la wifi scolastica a tutti i ragazzi perché possano usare i loro smartphone, tablet o notebook per integrare le attività didattiche frontali in corso.

Insomma, è come avere una finestra sul mondo sempre aperta mentre si dialoga con il proprio insegnante. Sono possibili abusi, distrazioni e – figurarsi – ci sono corpose controindicazioni: ma tra il proibiziosimo miope e l’utilizzo anarchico (che poi avviene anche – e soprattutto – quando ci sono i divieti) c’è sempre una terza via più liberale.

D’altro canto il rifiuto della scuola italiana dell’interazione osmotica con l’esterno la rende ignara che i ragazzi continuano a stare in classe anche quando sono a casa, grazie ad esempio ai gruppi segreti di Facebook. Piccole società di auto-aiuto, dibattito, confronto e cazzeggio che estendono temporalmente e spazialmente la comunità scolastica anche quando i prof sono presenti solo sotto forma di compiti da svolgere. Lo stesso i docenti “ignorano” che – proprio per non aver legalizzato il consumo degli smartphone in classe – il dover tenere le periferiche di connessione al web sotto il banco agevola chi copia la versione di greco.

Il movimento Byod, si dirà, è figlio di una visione privatistica oppure può servire al massimo per chi – fan della sussidiarietà – vuol scaricare i costi dello Stato sugli utenti. In Italia abbiamo investito molto nelle tecnologie cosicché anche quei ragazzi che non avessero avuto la possibilità di acquistare un costoso cellulare possano aver accesso alla Rete. Ma è stato un investimento in hardware, non in quel particolare software che è la cultura. Se gli insegnanti – ha osservato acutamente Tullio De Mauro – non sono in grado di padroneggiare il mezzo, non capiscono bene che cosa farsene, e ripiegano su usi tipo prendere appunti di quel dicono, è meglio la carta. «E le cose vanno male: gli alunni – secondo De Mauro – peggiorano con un cattivo uso delle tecnologie».

Nelle scuole degli studenti intervistati da Eurispes e Telefono Azzurro vi è infatti una notevole presenza di laboratori informatici dove i computer sono di fatto prigionieri (94,6%), di lavagne interattive multimediali – Lim (81,2%), nel 79,8% delle scuole tutti i pc sono connessi alla rete e il 94,3% ha un sito internet d’istituto.

Eppure il 46% degli studenti non ha mai usato le Lim nell’ultimo mese. E il 46,2% degli studenti – quasi la metà – non ha mai utilizzato nell’ultimo mese internet con gli insegnanti. Evidente segno che non si tratta di un problema tecnologico, ma culturale.