Falegnameria sociale allIkea di Casalecchio ha presentato una ghigliottina come emblema della giustizia fai-da-te
Falegnameria sociale all'Ikea di Casalecchio ha presentato una ghigliottina come emblema della giustizia fai-da-te (via gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it)

Un po’ gruppo di acquisto solidale. Un po’ Ikea. Un po’ web partecipativo. E soprattutto molto azienda globale, al pari di tante grandi farm delocalizzate ai quattro angoli del pianeta. Specie quelli dove il costo del lavoro è ridicolo. Myfab, il “primo” sito  di produzione on demand, vorrebbe essere tutto questo. Che sia “il primo” può dircelo solo la grandeur francese. Di certo è un modo per saltare gli intermediari: i prodotti che vuoi, li scegli, li voti e l’azienda transalpina  te li manda in produzione. In Cina, ovviamente. Con risparmi clamorosi (fino al 70%). Ma anche tempi biblici per la consegna (9 settimane in media per tornare dall’estremo oriente. Vantaggi tutti questi, comunque, rispetto ai prodotti di marca.

Design democratico, si dice. Anche perché un prodotto – si spazia dagli arredi all’abbigliamento, dalle stampe alle attrezzature per lo sport – prima di andare in produzione viene messo al voto dei clienti. Se quel che hai scelto viene eletto – e mandato in produzione – ti spetta uno sconto del 10% all’acquisto. Ed è probabile che accada, insomma una specie di primarie dello stile. Poi magari ci esce l’imitazione del marchio celebre (le fabbriche, infatti, potrebbero essere proprio le stesse). Ma poco importa.

Dopo un discreto successo di visitatori a febbraio, il sito – proprietà della MonUsine Sas (55.120 euro di capitale) – è letteralmente esploso nel giugno scorso: 9.538 visitatori unici, il 315.06% in più rispetto a dodici mesi prima. L’idea fa leva su alcuni valori della rete. Il primo, quello più eclatante, è l’apparente democrazia: il voto è segreto, nessuna votazione altrui può influenzare chi si esprime (a differenza, ad esempio, della nefasta logica di Digg!). Ma cosa votare lo decidono i proprietari del sito, che inviano una mail agli iscritti per avvisarli delle imminenti consultazioni. Il secondo elemento di fascino per i fan del web sta nella possibilità di eliminare gli intermediari: è una sorta di outlet virtuale di fabbriche senza marchio con sede in Cina. L’idea di saltare la catena di chi si frappone tra il fabbricante cinese e la clientela planetaria (per ora MyFab consegna solo in Francia, Belgio e Lussemburgo, in autunno toccherà all’Italia) era già venuta alle autorità di Pechino in occasione delle Olimpiadi. Avevano progettato addirittura un mondo virtuale – su tecnologia europea – che avrebbe dovuto permettere di acquistare direttamente in fabbrica, senza far sottostare i clienti alla gogna del commercio internazionale.

Mattoncini

Quel che resta un pizzico frustrante è la scarsa personalizzabilità che potrebbe “teoricamente” essere utilizzata introducendo un meccanismo freemium (sul modello di quello giornalistico): paghi un po’ di più, ti faccio un pezzo esclusivo di tuo gusto. E’ assente anche la possibilità per i clienti di proporre loro oggetti di design o soluzioni tecniche originali da mandare in produzione. Manovra dal basso, questa, più facile quando si resta nell’alveo digitale – Zooppa o BtooB docent – mentre se di immateriale c’è solo l’azienda, gli accordi commerciali con i produttori complicano la vita al marchio intermediario (come appunto MyFab).

Gli assemblaggi e le personalizzazioni hanno bisogno di mattoncini “comuni”, quasi dei lego, sui quali poi innestare l’identità creativa. E di catene di produzione flessibili. Più artigianato che non cineserie del ventunesimo secolo, più consapevolezza nell’uso della marca come affermazione dell’io attraverso il conformismo (come conferma un recente studio). Ai limiti dell’esaltazione dell’hacking, che trova la sua apoteosi in Instructables, magari impropriamente ritenuto paradiso degli smanettoni.  La stagione è quella che Mario Gerosa ha chiamato del “declino dell’hobby”. «Forse questo succede – ha ipotizzato su Facebook – perché c’è stato un innalzamento di grado delle culture generate dal basso, parenti strette degli hobby, e quindi considerarle passatempi equivarrebbe a sminuirle».

Insomma, servirebbe un passo di molto più avanti del configuratore che fece – sembra preistoria – la fortuna di Dell, con il quale ti costruivi il pc che avresti ricevuto a casa. E’ il caso di Ikea Hacker e che si nasconde dietro alla filosofia ufficiale dell’azienda svedese con Italiainordine: un microblog dove chiunque può postare opinioni che costituiscono i pezzi di assemblaggio non di un mobile, ma di una sorta di Ikeadeologia. Ecco come si presenta: «Secondo noi, per vivere meglio è importante fare ordine. In casa e anche fuori. Ma perché questo sia possibile, bisogna che ciascuno faccia la propria parte. Ikea da sempre ti aiuta a fare ordine in casa tua: in cucina, in camera da letto, in soggiorno. E tu, da dove cominceresti per fare ordine fuori?».

Le lotte dei lavoratori sono ormai divenute quelle “dei consumatori”. Le politiche sono marketing e sono apparsi quelli che la storia dei movimenti chiamerà, forse, ossimori politici (un esempio: il partito-liquido, strutturato e fluido insieme).  MyFab utilizza le primarie – metodo mutuato dalla politica – per determinare i beni da mettere in produzione, Wikipedia il populismo digitale di qualche geek-oligarchia per gestire la conoscenza. I confini tra politica, economia e cultura si stanno confondendo, sovrapponendo osmoticamente, fornendo a ciascuno di noi i mattoncini per permetterci personalizzare, creare e  mettere ordine nella nostra vita. Proprio come nelle nostre case, da difendere con ronde e giustizia fai da te. Ikeadeologia, appunto.