Foto di Amadeu SanzSegnalo l‘idea di Globalpost e cioè un’evoluzione intelligente di spot.us che risponde ad alcuni dubbi di base sul servizio ideato da David Cohn. Ma non può essere considerato la medesima cosa. Infatti la formula sembra più voler rimediare allo stato di crisi dei giornali – ferma restando la loro organizzazione produttiva – con un innalzamento della qualità del prodotto giornalistico, ritagliato maggiormente sui lettori, che non la nascita di una nuova forma di giornalismo. La redazione, con i suoi riti e le sue peculiarità in quanto a selezione e “linea”, infatti sopravvive. Sopravvivono i redattori stipendiati (e non pagati come freelance dai committenti di spot.us).  Sopravvivono anche vecchie buone idee – in Italia proposte ancora dalla stampa tradizi0nale (ad esempio “Dillo a Il Messaggero”) – che facevano capo ai suggerimenti o segnalazioni dei lettori per avviare mini inchieste. Unica differenza è che in Globalpost sono riservate agli abbonati grazie ai “privilegi” in lettura che il web consente.

Il post che segue, riprodotto per chi non avesse voglia di cliccare, è della redazione di Lsdi.

Online: far pagare solo il valore aggiunto

Varie testate stanno tornando a forme di pagamento dei contenuti dei loro siti web e negli Usa un nuovo sito web di informazione, Global Post, ha cominciato a sperimentare un sisema ibrido, definito ‘’freemium’’, con l’ informazione di base gratuita e un abbonamento ‘’premium’’ che consente anche di partecipare alla scelta degli argomenti da approfondire

Mentre a Londra Time e Independent pensano a reintrodurre un qualche sistema a pagamento nei loro siti web, sulla scia di quanto hanno già fatto New York Times e Washington Post negli Usa, un sito di informazione online, Global Post, sta sperimentando un nuovo modello economico, un sistema ibrido: ‘’freemium’’, in parte gratuito e in parte a pagamento. Offrendo ai lettori che si abbonano (199 dollari l’ anno) anche la possibilità di scegliere i reportage e le notizie su cui i giornalisti del sito lavoreranno. Non citizen journalism quindi, ma scelta collettiva dei contenuti del sito.

In un video di presentazione, il sito si impegna a “riempire il vuoto lasciato dai media tradizionali a causa dei tagli e dell’ abbandono della ‘copertura’ delle questioni internazionali.” Il suo business model, come si diceva, è quello “freemium” che Chris Anderson hs descritto tempo fa su Wired.

“Una piccola percentuale di utenti che pagano – spiegava – rende possibile dare gratuitamente il grosso dei contenuti a tutti gli altri utenti’’.

Il principio è che in generale gli articoli di GlobalPost sono gratuiti; gli abbonati ‘’premium’’ ricevono dei servizi in più, fra cui la possibilità di sottoporre delle ipotesi di articoli o reportage che i giornalisti del sito possono o meno accogliere.
Con un investimento iniziale di 8,5 milioni di dollari, GlobalPost ha attualmente 65 corrispondenti a libro paga, ciascuno dei quali – secondo quanto ha scritto nei giorni scorsi il New York Times – riceve 1.000 dollari al nese per 4 articoli.

Molti di essi, ha scritto ancora il New York Times nel parlare del nuovo sito, “sono tra le vittime dei tagli di budget sia delle agenzie di stampa, sia dei quotidiani”. Uno dei co-fondatori di GlobalPost, Charles Sennott ha definito il nuovo servizio a pagamento un mezzo “per creare un senso di appartenenza” nei lettori, che di solito percepiscono le redazioni dei giornali come “fortezze impenetrabili”.

Dietro tutti questi esperimenti sta prendendo corpo la considerazione che – anche sulla base della natura di internet – non si può far pagare le notizie di carattere generico che vengono prodotte da istituzioni interessate specificamente alla loro circolazione e immesse in rete da miriadi di fonti individuali o di gruppo, ma tutto il materiale di approfondimento e di valore aggiunto che può essere prodotto solo con uno sforzo professionale specifico da parte di giornalisti, analisti, esperti, ecc.

Ne parlava tempo fa Reflections of a Newsosaurus tempo fa:

Se vogliamo salvare la tradizione del giornalismo professionale, è vitale per gli editori cominciare a produrre dei contenuti che siano sufficientemente unici, autorevoli e di valore per spingere i lettori a pagare per ottenerli.

Ma la necesità per le aziende editoriali tradizionali di produrre contenuti migliori  cade nel momento peggiore. I budget per le redazioni sono stati svuotati dal declino nelle inserzioni pubblicitarie, aggravate dal bisogno per diverse aziende di produrre dei ricavi tali da riuscire a colmare i debiti contratti per pagare acquisizioni intempestive e sconsiderate.

via LSDI