C’è una legge ineluttabile in Second Life. E’ quella del client server. James Grimmelman della Yale Law School lo aveva sottolineato pubblicamente lo scorso ottobre. Chi detiene il controllo della grid, la batteria di computer che tiene on il mondo parallelo, giocoforza esercita un potere deregolato.

La risposta potrebbe essere l’opensource, ovvero la messa a disposizione al mondo intero dei codici che animano questa sorta di grande fratello post-litteram dal paradossale nome di “servo”. Ma se rimane il rapporto impari tra un elaboratore centrale ed una serie di browser che vi accedono, la dittatura del server non viene meno: anche entrando in un’altra SL, quella ospitata sulla piattaforma OpenSim ti ritrovi a fare i conti con quella che Edward Castronova chiama la coding authority, ovvero il soggetto chi pone le regole (sebbene simpatica come nel caso di Opensource Obscure e GinGin Break).

L’alternativa sarebbe il peer-to-peer, quello stesso che promette di abbracciare VirtualLife, mondo sintetico a coordinamento italiano finanziato dall’Unione europea. In termini giuridici la sua struttura potrebbe suggerire il parallelo con il diritto internazionale che si basa sul principio del pacta sunt servanda, ma la stessa VirtualLife si affiderà ad una magna charta elaborata dall’Università di Gottinga.

Nulla impedirebbe, in pura linea teorica, invece che un “regime democratico” avesse in mano la gestione di software ed hardware dei sistemi client server. Ciò implicherebbe perè una proprietà pubblica o comunque collettiva della grid, oltre alla formalizzazione di un sistema politico. Ciò sarebbe però addirittura a monte anche dell’idea italiana di una Metaverse Republic, ovvero di un ordinamento di common law – sistema giuridico estraneo alla nostra cultura -che ben si adatta ad una dimensione fluida ed atomizzata (oltre che ultranazionale) quale appare la seconda vita. Unica nota che rammenta l’attuale apparentemente ineluttabile dittatura del server: l’ordinamento sarà dentro Second Life.