Foto di @LupinThe3rd  / Ead Gjergji
Foto di @LupinThe3rd / Ead Gjergji

Scuole senza soldi? Genitori costretti ad autotassarsi? Fondi per le supplenze già terminati a marzo? «Chi non sa dirigere cambi mestiere, chi lo sa fare vada avanti e risolva i problemi». E’ la risposta data stamattina dal ministro Gelmini ai 268 presidi dell’Associazione scuole autonome del Lazio. I dirigenti scolastici avevano raccontato alle famiglie dei loro studenti di istituti finanziariamente in ginocchio. E dire che l’Ufficio scolastico regionale ha un debito di 170 milioni di euro proprio verso le scuole laziali, residui attivi si chiamano, le quali si appoggiano sempre più sulle tasche dei genitori. Senza che queste abbiano la minima autonomia impositiva.

Ma certe somme, come quelle per le supplenze, non possono essere richieste alle famiglie. Per contenere il fenomeno delle malattie dei docenti la “cura Brunetta” ha previsto visite fiscali a tappeto. Fermo restando che, per la singolare fertilità delle supplenti in occasione della nomina cui può capitare di assistere, sugli istituti gravano i costi delle gravidanze difficili (infatti i dipendenti pubblici non sono coperti dall’Inps), ci si aggiungono ora anche quelli del medico fiscale. «Non abbiamo i soldi per pagare» lamentano i presidi. Forse questo è uno degli scaricabarile verso il Ministero ai quali fanno cenno i vertici di viale Trastevere?

«Molte volte – ha sottolineato la Gelmini – apprendiamo dai giornali i problemi che non ci vengono neppure segnalati». E come avrebbe potuto, se non le avessero mandato una lettera? Quando è scoppiato il caso dei 268 dirigenti “al verde” imperversava sulla stampa l’ennesimo conflitto a colpi di armi di distrazione di massa. La scuola “Pisacane” – istituto di Tor Pignattara a Roma con il 90 per cento di alunni stranieri – stava per cambiar nome in “Makiguchi Tsunesaburo”, pedagogista giapponese ignoto ai più. Polverone mediatico, un assessore del Comune di Roma che minaccia di rimuovere la dirigente (manco fosse stato il ministro), giorni e giorni di titoli, intitolazione rimangiata. Chiasso, fuffa, insomma, anziché parlar di cose serie. Come accade per il  “caso Noemi” che imperversa quando i dati sull’occupazione dovrebbero davvero far pensar ad altro di ben più serio.

L’Italia spendeva al 2005 per l’istruzione – secondo il rapporto Ocse – la più alta percentuale di  prodotto interno lordo dopo Svezia, Francia, Danimarca, Finlandia, Ungheria, Austria e Belgio. Ma era anche l’ultimo Paese per investimenti in educazione in proporzione rispetto al totale della spesa pubblica. Scuola fanalino di coda, in altre parole. Per non dire degli stipendi dei docenti, che però – anche questo non si può nascondere – avevano orari diversi da quelli di altri lavoratori. O di surreali vicende di precariato come quelle delle maestre on the road della provincia di Agrigento.

Il punto dolente, in realtà, è altrove. Se infatti si decentra tutto in termini di responsabilità, quel che resta storicamente ben saldo al centro, e nelle mani del Governo, è proprio il denaro. Se questo fossero riscossi direttamente e con progressività fiscale dalle scuole, sollevando i cittadini della quota delle altre imposte da pagare, lasciando allo Stato solo il compito di trasferir denari per evitare sperequazioni, magari le cose potrebbero funzionar meglio? Non avrebbe più senso dire allora, seriamente, che i dirigenti sono responsabili? Non si potrebbero render finalmente i consigli di istituto qualcosa di serio, capace anche di influire sulla scelta dei dirigenti? Ipotesi, ovvio. Ci sono progetti di legge che puntano all’autogoverno delle scuole, ma forse non è proprio la stessa cosa.

Frattanto i dati, seppur del 2005, ultimo aggiornamento di Ocse, la dicono lunga: il 79,24 per cento dei fondi pubblici per l’istruzione in Italia è erogato dallo Stato, il 6,2 per cento dalle Regioni e il 14,5 per cento dagli enti locali. C’è, in Europa, chi invece ha questa distribuzione: il 9,2 per cento dei soldi sono a gestione centrale ed il restante 90,8 per cento è “locale”. Dove? La Finlandia, il miglior paese al mondo per la scuola.