Le 192 pagine dell’enciclica papale “Laudato si'” anticipate dal sito dell’Espresso differiscono dalla versione ufficiale presentata ieri per il due per cento. Sono 15 le pagine nelle quali un software per il confronto dei testi (DiffPDF) individua delle variazioni, che in un solo caso arrivano al sei per cento. In due pagine si ferma al due per cento, in altre due al tre e il resto è sotto all’un per cento di diversità.
Differenze formali, si dirà. E infatti il programma intercetta le modifiche di impaginazione: un “a capo”, ad esempio, può far registrare una differenza, così come un refuso corretto. Anche il nome del documento memorizzato sul server del sito vatican.va può essere interessante: “papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si_it.pdf”. Spesso la cifra “20150524 sta a indicare la data della versione e questa potrebbe esser tradotta in 24-05-2015.
Dal confronto dei testi pdf si può leggere cosa c’è, nelle espressioni e nella sostanza, di differente tra la bozza e la stesura finale, quella da destinare alle stampe dopo esser stata esaminata da uno o più correttori. Eccole.
Fai clic per accedere a differenze-laudatosi.pdf
L’anticipazione dell’enciclica sull’ambiente di Bergoglio è stata attribuita agli ambienti conservatori per attaccare Francesco e indebolirne il messaggio. Si sarebbe trattato di un vatileaks, insomma.
«È stato pubblicato – aveva precisato lo stesso 15 giugno il portavoce vaticano padre Federico Lombardi – il testo italiano di una bozza dell’Enciclica del Papa Laudato si’». Insomma, non la versione finale. Ma quest’ultima si discosta poco dalla stesura definitiva.
La precisazione del direttore della sala stampa che si trattava di una bozza era accompagnata dal richiamo alla regola dell’embargo . “Sotto embargo” è un’espressione con cui qualunque cronista accreditatosi almeno una volta alla sala stampa vaticana ha avuto a che fare. Il divieto di pubblicare comunicati o documenti prima di una data convenuta è annoverato dal Vaticano tra le norme etiche della professione giornalistica. Violarlo può costare la sospensione, se si lavora a Radio Vaticana. Per tutti gli altri la violazione dell’embargo la revoca dell’accreditamento. E Sandro Magister, vaticanista de l’Espresso, proprio per questi scoop è stato “sospeso a tempo indeterminato” dalla sala stampa del Vaticano. Non è stato il primo: nel 1995 ad esempio Miguel Castelvi, del quotidiano spagnolo ABC, lo fu per sei mesi per aver anticipato di un giorno l’enciclica “Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II. Stavolta, però, non si trattava del documento ufficiale. E come ha osservato il Messaggero.it non sono mancate le polemiche in quanto «il Vaticano, infatti, non ha mai consegnato ai giornalisti la bozza dell’enciclica, sulla quale, quindi, non poteva pesare alcun embargo». Solo che una differenza del 2 per cento con la versione finale la rendeva forse qualcosa di più che un draft.
Neofiti del sesso, sportivi della domenica, videogamers alle prese con Angry Birds ed iper egocentrici fanno esperienza – spesso – dell’ansia da prestazione. L’ansia da dichiarazione invece, al di fuori dei patiti dei social network, resta appannaggio di una ristretta cerchia: politici o aspiranti tali. Un mondo parallelo, fatto di parole, con i suoi rituali e i suoi schiavi del terminale: baldi addetti stampa inchiodati davanti al flusso delle agenzie sullo schermo, messi lì per scovare qualcosa da far commentare al proprio datore di lavoro. Dal compleanno della starlette di turno alla fresca nomina nel più secondario e inutile carrozzone di Stato, fino ai lutti (un must) ed alle relative condoglianze.
Meccanismo infernale, questo, colmo di virgolettati, dichiarazioni di portavoce, prese di posizione a nome di questo o quel politico. “Scucuzzate”, come chiamava un caro e salace caposervizio i testi gonfiati a dismisura per riempir uno spazio troppo grande sulla pagina, inesorabilmente destinate a rimanere relegate tra i lanci delle agenzie di stampa (che ci campano, facendosi pagare – a convenzione – i loro servigi). A vederlo è un surreale balletto di parole che non finiranno mai, o quasi, sugli organi di informazione, quelli per i quali apparentemente vengono prodotte ogni giorno queste centinaia di dichiarazioni.
Ma va detto il “politico” è – antropologicamente – un animale dichiarante. Ricordo con un sorriso la tremenda burla ad una collega di scrivania – in una piccolissima redazione di provincia – cui feci credere di esser stata cercata dall’agente di Raul Bova. Motivo: un’intervista esclusiva alla star. Le consegnai il numero di cellulare dell’attore – in realtà il mio, che lei aveva ma non riconobbe. A risponderle, dal bagno del giornale, il responsabile dello sport che stette al gioco per quasi un’ora di dichiarazioni. Presa dalla frenesia, la simpatica cronista, iniziò a ributtar giù l’intera pagina su cui aveva lavorato fino a quel momento per far spazio alla notizia di “Bova in città”. Poi, fulminata non so da quale pensiero, impugnò il telefono e chiamò la sua fonte abituale, l’assessore comunale a cultura e spettacoli, per rimproverarlo di non averla avvisata della presenza nel teatro cittadino di cotanto personaggio. Il politico, con nonchalance, iniziò a risponderle che la presenza di Bova (il quale, ignaro, era altrove) era merito suo: aveva portato nel territorio un set cinematografico e via dichiarando. Una sequenza di clamorose balle che solo l’intervento di tutta la redazione evitò venissero pubblicate dalla collega, assieme – beninteso – alla bufala di Bova in città.
Di questa ansia da dichiarazione
“Libero calcio in libero Stato”, verrebbe da gridare. Non amo, notoriamente, il pallone. Né i suoi riti (un tempo) domenicali. Non mi scaldano sin dall’epoca della radiolina a transistor. Ma vedere quei volti astrarsi nell’immaginare quel cross e palo concretizzava, allora, quasi una sorta di “fantasia al potere” nazionalpopolare. Un principio di piacere che ritrovava quello di realtà al “Novantesimo minuto” e nella serale “Domenica sportiva”. Ora tutto questo non c’è più. Andiamo verso la Verità calcistica, quella unica, non controvertibile. Ad inquadratura unica.
Siamo emblematicamente entrati infatti tutti in una sorta di girone di ritorno. La politica pop per intero – di destra o di sinistra che sia – ha assunto, da alcuni lustri, stilemi calcistici: non solo nominali, ma anche nel dibattito su quella che dovrebbe essere la gestione della pòlis . Urla da fan, dialettica addio: non serve, si sta in curva. Sembra di assistere a quelle trasmissioni “salotto” delle tv private che vivono della sola vis polemica di ultras in giacca e cravatta (e non). Ebbene, oggi quei programmi – l’originale intendo, quello dal quale ha preso il format la “politica” – si vorrebbero ridotti al silenzio. Anzi, al pensiero unico. Non oso paralleli, sarebbero facili. Ma – ripeto – la situazione è emblematica.