“Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno?”. La risposta a questa domanda di Karl Raimund Popper (‘La società aperta e i suoi nemici’) può essere – tra le altre – la democrazia digitale. Il “limite” del web, inteso come rete di risorse semantiche e non come internet, è quello di essere rappresentato da cluster: tanti gruppi aggregati attorno ad un tema o interesse, così da farlo somigliare ad una riedizione della “sfera pubblica”. Eppure, di contro, è noto il potere mobilitante della comunicazione in rete. Nonostante ciò, va tenuta in debito conto la distorsione di prospettiva che la facilità di far click per aderire ad una qualche campagna può indurre. La democrazia digitale, dunque, non può essere una forma di democrazia diretta, né rappresentativa – anche per la complessità di ruoli che attraverso l’autorappresentazione in rete si possono assumere. Semmai, grazie al suo potenziale di dar voce anche alla coda lunga del pensiero, riesce a dar voce alle minoranze sicché – attraverso una nefasta spirale del silenzio – non siano schiacciate dalla maggioranza. Essa è, insomma, qualcosa di fluido e strumentale: il conoscere – attraverso la compartecipazione – prima di deliberare ed, insieme, uno dei mezzi per il controllo del potere. Ma non è, di per sè, un sistema di governo diretto o indiretto da parte della collettività. E’ una componente della democrazia, non una forma di democrazia.

Commento inserito su Facebook per Democrazia Digitale per il contest per dare una definizione al concetto di “democrazia digitale”