Foto di aristocratQuesto non è un social network per giovani. Quanto meno negli Usa: negli ultimi sei mesi gli ultracinquantacinquenni iscritti a Facebook sono cresciuti del 513,7%. In Italia? A parte la fantastica zia settantenne di un collega, che imperversa con i suoi malintesi naives tra le bacheche tricolore, la loro presenza  si ispessisce. Ma non esplode. Il solito, caustico, Marianne.fr non esita – con la penna di Régis Soubrouillard – a definire FB “la maison de retraite du Net“, la casa di riposo della Rete.

Entrambi le analisi (a firma rispettivamente di Istrategylabs e di Vincos) fanno riferimento – come fonte – alle informazioni fornite dalle pagine pubblicitarie di Facebook. Dando la colpa alla mia storica imbranataggine con i numeri, non riesco però a trovare le basi dati di partenza. Ma prendo per buone lo stesso le elaborazioni (quanto meno – per naturale fiducia – quelle di Vincenzo Cosenza) a conferma del ruolo che sta ricoprendo Facebook in questa sua fase di hype, o rigonfiamento, che dir si voglia.

La prima osservazione, confermata dai 35enni che starebbero soppiantando Oltreoceano i più giovani, è che questa è (stata?) l’età media dei frequentatori di Second Life. Solo che FB ha un grande vantaggio: non richiede grandi mezzi, competenze da giocatore di videogames a 3D e – udite – neanche saper scrivere. Basta saper incollare un link, premere il bottone condividi o fare l’upload delle foto. Insomma, una grande opportunità verso l’alfabetizzazione al web sociale e partecipativo di fasce anagrafiche che finora avevano fatto un uso di internet passivo (senza creare contenuti) o – addirittura – non avevano mai acceso un computer in vita loro. Non mi inoltro sui “rischi” che i neofiti correrebbero – per la loro inesperienza – quanto a privacy, dipendenza o ingenuità varie. Nessuno è nato vaccinato, neanche gli early adopters, come talora amano farsi chiamare i vari “pionieri” delle piattaforme web, alcuni dei quali minacciano di abbandonare i loro gioielli prediletti quando diventano di massa.

Adam Sarner, analista di Gartner, nel 2008 ipotizzava su Forbes la caduta delle barriere generazionali allorché la gente va online: «Generation V is not defined by age, gender, social demographic or geography, but is based on demonstrated achievement, accomplishments (merit) and an increasing preference toward the use of digital media channels to discover information, build knowledge and share insights». Ma – come diceva Ortega y Gasset – “io sono io e la mia circostanza” e, pertanto, la presenza di quelli che finora erano degli estranei, o quasi, della Rete in un ambiente sociale implica un cambiamento anche nell’identità di chi abita il web prima di questo “esodo”. E siccome non si può pensare che il web sia una monade impermeabile, un “cerchio magico”, ma è anzi qualcosa interconnesso con le realtà fisiche, le storie e le relazioni della realtà al di fuori di esso di cui invece è estensione vi entrano a pieno titolo. E lo cambiano. Quel che differenzia i suoi attori è semmai il grado di impegno e – aggiungo – la qualità di esso. Altro che casa di riposo.