Foto di pizzodisevoIl federalismo sarà legge. Anche a tavola. In Veneto e Calabria – come in altre Regioni – la Coldiretti fa pressione per farci ingoiare ope legis cibi “a chilometri zero”, vale a dire quelli prodotti e consumati nel territorio di provenienza. Norme che mettono sui piatti delle mense di scuole, ospedali ed enti pubblici stanno per arrivare anche nel Lazio. Di fronte alla prospettiva di ingozzarmi di carote di Maccarese o di pecorino romano, lo confesso, sono atterrito.

L’intingolo al curry sul mio pollo dovrebbe pesare come una macchia indelebile non solo sulla mia camicia, ma anche sulla coscienza. La spezia sarebbe arrivata in nave o aereo, inquinando, come l’avocado per la salsa piccante della nostra amica brasiliana. Ma anche bere l’acqua di Vinadio quando non sono a Cuneo dovrebbe farmi rimordere la coscienza, nonostante l’azienda stia per invadere dalla Granda i supermercati europei con una strepitosa bottiglia in PET biodegradabile. Lo getti e diventa compost. Tutto sbagliato. Berrò – come da ragazzino – la Nepi: sta sotto casa o quasi.

L’Italia, con il “federalismo a tavola”, risparmierebbe fino 5 miliardi di euro, dimezzando i trasporti dei prodotti alimentari. A proclamarlo è stata la Coldiretti, durante l’Assemblea nazionale dei piccoli comuni dell’Anci. Nel mordicchiare il prosciutto cotto nel pane di grano duro veneto,il crudo di Montagnana, il Riso Vialone Nano Igp o le sformatine di Casatella trevigiana Igp sindaci ed amministratori si saranno certo sentiti più ecologicamente corretti. Poco importa che per farlo siano arrivati da ogni angolo d’Italia a Mogliano Veneto, emettendo anidride carbonica. Quella stessa che con la teoria dei food miles, dell’acquisto in fattoria, si vorrebbe invece evitare di immettere nell’aria risparmiando sulla bolletta energetica. E così niente olio extravergine d’oliva a nord, niente fontina a sud.

Ma c’è forse una svista clamorosa. E riguarda proprio l’idea stessa degli alimenti a chilometraggio zero: secondo il ministero dell’ambiente e dell’agricoltura britannico – oltre che di qualche serio ricercatore – non farebbe affatto risparmiare. Girovagare per casali o negozietti per far incetta di formaggi, di pere o di altri prodotti locali, infatti, sarebbe economicamente (ed ecologicamente) meno efficiente che acquistare da un rivenditore centralizzato – il supermarket – prodotti che trasporta in modo più efficiente le merci, utilizzando meno autoveicoli pesanti al posto di un numero più elevato di veicoli, più piccoli e meno efficienti. Nel percorso dal produttore al consumatore circa la metà del chilometraggio coperto, il 48%, è attribuibile al compratore.

Certo l’insalata o i pomodori dell’orto di mia suocera sono impareggiabili. E vengono pure da sotto casa. Comprare ai farmer’s market fa risparmiare oltre 100 euro al mese sui 467 che in media ogni famiglia spende per sfamarsi. Diventa indigesto se penso che possa esser imposto o “promosso” per legge.

Se infatti mi metto a ricordare cosa c’era sulla tavola di casa propria quando avevo 10 anni resto sconvolto. Lardo di Colonnata? Cous-cous? Lo speck? Mi sembrava esotico lo zampone di Modena, figurarsi il pane di Altamura o addirittura il kebab. Insomma, più che federalismo mi è venuto il sospetto che quello si vagheggi si tratti di un infeudamento alimentare. Ma quando poi ho letto che a Mogliano Veneto – durante la presentazione di Coldiretti – c’era anche il ministro Maroni, ho rischiato di averne una mezza certezza.