Il dono di Dio, come lo ha chiamato papa Francesco, nacque concettualmente 25 anni fa. Ma non si chiamava ancora world wide web, bensì mesh. Il 12 marzo 1989 Tim Berners Lee pubblicò un documento: “Management dell’Informazione: una proposta” (il file originario). Erano idee, le sue, che sarebbero dovute servire a migliorare la comunicazione all’interno del Cern di Ginevra – centro di ricerca per la fisica alla cui nascita contribuì nei primi anni ’60 pure Amaldi – e che, invece, hanno cambiato il mondo. Radicalmente. «Il web è più che un’innovazione tecnica – ha spiegato infatti Berners Lee – L’ho progettato perché avesse una ricaduta sociale, perché aiutasse le persone a collaborare, e non come giocattolo tecnologico. Il fine ultimo del web è migliorare la nostra esistenza reticolare nel mondo».

Anno 1951: il sistema nervoso del pianeta

L’idea che un reticolo potesse avvolgere il pianeta era tutt’altro che nuova. Mervin Kelly fu direttore e poi presidente dei Bell Labs, la divisione di ricerca del gruppo di AT&T. Aveva predetto, nel 1951, “un sistema telefonico del futuro molto simile ai sistemi biologici del cervello umano e del sistema nervoso“. Sempre al Bell System – ricordava nel 1964 Boettinger, uno dei “profeti” di cui racconto ne “Il futuro è sempre esistito”  (qui il sito del libro)- la rete telefonica veniva definita da alcuni “spider web“.

Il web che avrebbe potuto essere

Ma il network di telefonia sarebbe stato poi – anni dopo – parte dell’infrastruttura fisica di internet (le cui basi risalgono al 1969, con Arpanet), cosa diversa dal web che su essa si poggia e il quale tanto deve all’ipertesto. Senza di quest’ultimo concetto “linguistico” non esisterebbero né link, né ragnatele di informazioni da navigare. Ma era toccato a un sociologo e filosofo americano, Theodor Holm Nelson, introdurre nel 1965 il “neologismo” ipertesto. Nel 1965 il ricercatore presentò un sistema informatico che collegava più computer, chiamato Xanadu, una tecnologia che è stata a lungo alla ricerca di un “mercato”, mentre frattanto il world wide web teorizzato di Tim Berners Lee sarebbe divenuto, da metà anni ’90, una realtà planetaria. E anche con questo “senso” la parola web era stata anticipata da Vannevar Bush, nel 1948, che parlava di “web of trails“, rete di sentieri. Il nome web, quello che usiamo oggi per questo sistema, fu invece adottato nel 1990.

Tutta “colpa” delle distanze

Les Horribles Cernettes
La prima foto pubblicata sul web nel 1992

La dislocazione fisica in più edifici del Cern, nel quale lavorava Berners Lee, nella sua sede sul Jura a cavallo tra Svizzera e Francia non era l’ideale per far collaborare i ricercatori. Servivano “sentieri” virtuali che li collegassero. Così come l’organizzazione gerarchica e il turn over richiedevano di trovare una soluzione “a rete” per documenti e informazioni. Non solo per archiviarli – come poteva fare il Memex, teorizzato da Vannevar Bush, o analizzarli, come immaginò nel 1949 Padre Busa  – ma soprattutto per poter collaborare. Usi serissimi, ma per intuire a quali altri possibili destini si sarebbe aperto il www basti ricordare che la prima immagine (una gif) pubblicata su di esso, nella versione di prototipo, fu il 18 luglio 1992 quella de “Les Horribles Cernettes”, una pop band parodistica costituita da impiegate del Cern.  Berners Lee aveva sviluppato già, per proprio conto, un programma per redigere ipertesti. Era Enquire, chiamato così perché ispirato da un libro trovato in casa dei genitori, “Enquire Within Upon Everything” (Rispondo a qualsiasi domanda), una sorta di manuale che – dal 1856 al 1976, in 126 edizioni – era comune trovare nelle famiglie anglosassoni. Ma poi Berners Lee era passato a sperimentare l’ipermedialità, seppure in locale su un Mac, con un gioiello di Apple: HyperCard. Ma qui inizia un’altra storia. O un altro futuro esistito, se si vuole.