Una volta lo spauracchio era il compito in classe di matematica. L’espressione che non tornava, magari perché ti era sfuggita una parentesi o quei problemi pieni di contorsioni mentali (che solo qualche adoratore del Dio Numero era in grado di concepire) erano tutti in condizione di togliere il sonno agli studenti. Ma non ai professori. Oggi, invece, a passar le notti in bianco in vista dell’esame di fine anno sono entrambi. Tutti sulla stessa barca di fronte alle nubi tempestose dei test Invalsi all’orizzonte, quello nazionale del 18 giugno 2012. E quel rompicapo che sarebbe dovuto servire a misurare le competenze – e le performance della scuola italiana – è diventato una materia. Con tanto di libri di testo.

Il pensiero è talmente incombente per professori (e si suppone per gli studenti) che iniziano a preoccuparsi sin da ora, dopo pochi mesi dall’inizio dell’anno scolastico. La ragione è presto detta: quelle sciarade – di italiano o di matematica che siano, tali rimangono – non servono soltanto a misurare le competenze dei nostri baldi giovani, ma sono stati infilati, con sublime colpo di genio dello staff Gelmini – quello del tunnel dei neutrini d’altronde – pure tra le valutazioni per consguire il sudato diploma di terza media. Insomma, il test fa punteggio, assurgendo da semplice metodo di misurazione a quarta prova.  Stando poi a voci raccolte nei corridoi di viale Trastevere da qualche cronista, in futuro potrebbe finire dentro questo calderone, degno di un quiz per la patente, anche la prova di matematica e quella di inglese. Da brivido.

Il vero paradosso, però, non è solo questo del trasformare il “saper far di conto” in una misurazione, cadendo nello stesso equivoco di chi confonde la meritocrazia  con la (terrificante) selezione. I rappresentanti delle case editrici che sono stati sguinzagliati all’interno delle scuole e stanno piazzando – a prezzi modici, ma pur sempre a carico dei genitori –  manuali per la prova Invalsi. Non sono saggi di approfondimento per i docenti, sia chiaro, ma testi di studio per i ragazzi. Insomma, il test Invalsi è diventata una materia.

La follia dell’operazione è palpabile, in inglese – dove la tecnica del test deve esser stata più diffusa in passato – la chiamano teaching to the test. E’ un po’ come se si studiasse per portare a casa un bel voto e poi a quel paese se non ne sai un emerito cavolo, con buona pace degli sforzi di quelli che cercano di educare i figli esattamente al contrario.

Che la scuola potesse essere educativa è una segreta speranza di ciascuno, ma che si riveli diseducativa quello proprio è duro da mandar giù. Si aggiunga che i nostri ragazzi saranno bravissimi a far test Invalsi e nelle classifiche internazionali potremmo finalmente incalzare – sulla carta – il sistema scolastico della Finlandia. Poi se i ragazzi non sapranno un tubo, poco importa, di certo la furbetta Italia farà la sua brava figura. (Di merda, si intende). Al solito, di fronte a questo scoramento, torno ad agognare all’eliminazione del valore legale al titolo di studio, cosicché magari le scuole-volpi potranno, quanto meno, essere portate davanti all’antitrust per pubblicità ingannevole a mezzo Invalsi. Ma so che non potrà essere così. Ed ormai mi aspetto soltanto che, dopo i manuali per preparare i test durante l’anno scolastico, come “testo per le vacanze” sarà consigliata ai ragazzi la Settimana Enigmistica.