Samsung ha prodotto un tablet, Apple ha accusato l’azienda coreana di aver copiato il suo iPad e un giudice tedesco ne ha disposto il ritiro dal commercio. Eppure, secondo gli avvocati che difendono il Galaxy Tab 10.1, la casa di Cupertino non avrebbe diritto a rivendicare nessun brevetto perché i tablet sono stati “inventati” prima, nel 1968. Da chi? Dagli autori del celeberrimo film di Stanley Kubrick “2001: Odissea nello Spazio”.

«In una sequenza del film della durata di circa un minuto – scrivono i legali della Samsung – due astronauti stanno mangiando e al tempo stesso utilizzano un tablet PC». A riprova, ovviamente, allegano un link a YouTube (la sequenza). «Come descritto nel brevetto 889 D – aggiungono con il loro stile da giuristi – il tablet presente nella clip ha una forma rettangolare con uno schermo dominante, bordi stretti, una superficie frontale prevalentemente piatta, una superficie posteriore piana (che è evidente perché i tablet sono appoggiati su un tavolo), e un form factor sottile». E come se non bastasse dei simil iPad si vedono in una serie anni 70 della tv inglese “The tomorrow people” e in vecchi episodi di “Star Trek”.

La finzione ha invaso la realtà? Probabilmente. Ma forse il reale e la fiction sono sempre state confuse tra loro e ce ne accorgiamo solo ora. D’altro canto la porta di interscambio tra reale e virtuale si è spalancata grazie alle periferiche digitali connesse in rete. Ho appena chiesto il “collegamento” su Linkedin – quella che su Facebook si chiama amicizia – a Lisbeth Salander, professional hacker presso Milton Security. E confesso di esser vagamente in ansia per vedere se mi accetta. Non c’è però bisogno di dire che Lisbeth è “solo” un personaggio, anzi “il” personaggio, della trilogia Millennium di Stieg Larsson e quindi – teoricamente – non esiste. Ma ben 18 dei miei contatti hanno già stretto amicizia con il suo profilo (gestito da una società di comunicazione). Perché io no?

Bizzarrie di questo mondo (post)moderno, drogato di virtuale? Anche i libri allora fanno la loro parte, mica solo internet e compagnia. Basta gironzolare per la provincia di Ragusa e trovarsi immersi in centinaia di riferimenti turistico-gastronomici al Montalbano di Camilleri, in uno straordinaria confusione tra testo letterario e set della serie interpretata da Zingaretti. Qualcosa che dal libro parte e al libro torna poi sotto forma di guida.

Marc Augé – d’altronde – ricorda che a largo di Marsiglia è possibile visitare la segreta del Conte di Montecristo, personaggio storicamente mai esistito, se non nell’opera d’appendice di Alexander Dumas. Un fenomeno ormai “antico”, dunque. Ed un altro caso di strepitosa volontaria (con)fusione tra reale e immaginario? Se la presenza dell’immagine come stimolo ulteriore a generalizzare questo fenomeno che apparteneva all’immaginario può esser una ragionevole spiegazione (ecco l’intervista nella quale Augé lo sostiene), nel caso della controversia Samsung-Apple ci sono due piani fittizi – due virtualità diremmo oggi – che collassano. Era qualcosa che avevamo già sperimentato nei mondi virtuali, con cause di separazione nel “mondo reale” o arbitrati gestiti direttamente in Second Life (per un’ampia retrospettiva il nostro caro 2L Italia, rivista dedicata nel 1998 a quel mondo).

Nei tribunali, infatti, abbiamo attori e convenuti, i soggetti sono “persone”, dal latino personae > maschere. Dire pertanto che una pellicola costituisce un antecedente valido in termini legali per dimostrare la non “originalità” di un’invenzione (anche qua il latino la dice lunga: l’etimologia è da invenire, “trovare investigando” qualcosa che già esiste), non è una bizzarria. Semmai non è altro che portare su un piano virtuale qualcosa che appartiene ad un altro piano fittizio e che, per convenzione, si prende per “reale”. Da un paio di millenni: la Giustizia.