A scuola di Facebook
«In classe giochiamo a Facebook». Parola di tuo figlio, seconda elementare. Se però pensi di scuotere il capo brontolando qualche frase sconnessa sulla pervasività delle mode tecnologiche, devi ricrederti. Il social network le maestre – e non sono delle under 40 – lo hanno messo in piedi con i quaderni a righe e a quadretti. Niente soldi, zero internet e, soprattutto, tanto “mestiere” di insegnare. Hanno chiesto agli alunni di autopresentarsi – descrivendo gusti, aspetto e quant’altro – per poi far scambiare i loro quaderni con altri studenti in erba di una scuola lontana qualche chilometro. Senza mai vedersi di persona. Avrebbero poi deciso i bambini, sulla base di quegli elementi, se stringere “amicizia” – e scambiar messaggi (su carta) – con i coetanei dei quali possedevano solo la presentazione cartacea. L’educazione alle relazioni “mediate”, sebbene non ancora attraverso la rete, parte sempre dall’ABC. E queste insegnanti hanno intuito che con un esercizio linguistico – di “italiano”, se parliamo di materia – avrebbero permesso ai ragazzini di iniziare a sperimentarsi con qualcosa che troveranno nel mondo “là fuori”. Anche in termini di consapevolezza delle differenze culturali. Il mio piccolo è rimasto male – ma anche cosciente che al mondo non la vediamo tutti allo stesso modo – dal veder respingere la “richiesta di friendship” da una bambina dell’altra scuola con la motivazione: «Mio padre dice che le femmine non possono fare “amicizia” con i maschi».
Insalata a ricreazione
Invitato da un Linux User Group a giocare con OpenOffice Writer assieme ai bambini di una scuola elementare della provincia di Roma, sono stato accolto in classe da un intenso odore di cipolla appena tagliata. Ma la mia sorpresa è divenuta ammirazione quando al suonar della campanella della ricreazione ho visto bambini e bambine tagliuzzare insalate e lavare ortaggi nell’aula accanto. «Fanno l’orto nel giardino della scuola e per merenda mangiano quel che raccolgono.