Foto di Charles Forerunner
Foto di Charles Forerunner

In “Guida galattica per autostoppisti” Babel Fish è un pesce da infilare nell’orecchio per ascoltare, tradotte nella propria lingua, le parole pronunciate in un’altra. Era il 1979 quando Douglas Adams pubblicava quel romanzo. Diciotto anni dopo Systran e Altavista, uno dei primi motori di ricerca, lanciarono il primo traduttore automatico online. Babelfish, appunto. Oggi usare Google translator è prassi quotidiana, pur se con qualche esilarante risultato. Ma forse proprio queste imperfezioni lo rendono (ancora per un po’) umano.

Studiare le lingue, un optional

Il Tardis, la macchina del tempo dall’aspetto di una cabina telefonica blu del “Doctor Who” (serie anni ’60 di BBC), aveva tra le proprie funzioni quella di traduttore automatico. Da qualche settimana Skype offre in Italia, in anteprima, un servizio telefonico che promette un analogo risultato. Ma solo nelle conversazioni tra inglese, spagnolo, cinese e — un po’ a sorpresa — italiano. Non servirà più conoscere le lingue per conversare con individui di ogni angolo del mondo. Anche dal cellulare. Il telefono tradurrà con una voce sintetica quel che ci stiamo dicendo. Il sogno dell’Universal translator di “Star Trek” sembra destinato a realizzarsi.

L’utopia della comprensione universale

Come ogni nuova tecnologia di comunicazione —la stessa sorte toccò alla radio — si potrebbe arrivare a immaginare l’inizio di una nuova era. Un’epoca fatta di universalismo e, solo per questo, di “pace mondiale attraverso la comprensione” (lo slogan di The New York World’s Fair del 1964–65, che dei ‘telefoni del futuro’ fu il tripudio). Eppure questa presunta e intrinseca vocazione, tanto per dirne una, si scontra con l’utilizzo dei traduttori automatici in scenari di guerra. La Defense Advance Research Projects Agency (DARPA), agenzia americana per la difesa, ad esempio ha sperimentato il TRANSACT per permettere ai soldati in Iraq di comprendere l’arabo. D’altra parte la radio fu preziosissima nel coordinare le truppe durante la seconda guerra mondiale.

Lingue, occhi per guardare la realtà

“Technology is neither good nor bad; nor is it neutral”. «La tecnologia non è né buona né cattiva. Ma non è neppure neutrale», diceva Melvin Kranzberg. Il discorso vale, ovviamente, pure per Skype traduttore. Mettiamo per ora in secondo piano il fatto che la voce sintetica che fa da interprete non riesce a trasmettere tono, emozioni o tic rivelatori. Non è escluso lo possa fare in futuro: la Microsoft, proprietaria di Skype, ha già annunciato occhiali che leggono le emozioni. Con la voce sarà forse più facile. Il punto cruciale è che conoscere e, soprattutto, parlare un’altra lingua ci fa guardare la realtà con occhi diversi a seconda di quella che usiamo. Non è una convinzione di qualche idealista cultore degli idiomi o dei dialetti, bensì il risultato di una ricerca pubblicata da Panos Athanasopoulos (Lancaster University) su “Psychological Science” e che ha messo a confronto madrelingua tedeschi, inglesi e bilingui.

Individualismo prossimo venturo

«Chi apprende una lingua — ricorda Marika Cenerini di Eurologos Milano citando il quadro comune europeo di riferimento per le lingue — diventa plurilingue e sviluppa interculturalità. Le competenze linguistiche e culturali di ciascuna lingua vengono modificate dalla conoscenza dell’altra e contribuiscono alla consapevolezza interculturale. […]. Aiutano l’individuo a sviluppare una personalità più ricca e complessa, potenziano la sua capacità di apprendere altre lingue e promuovono la sua apertura verso nuove esperienze culturali». Se resteremo chiusi in un solo idioma con l’assuefazione a Skype traduttore sarà difficile “comprendere” il modo di vedere altrui. E anziché unire, questa tecnologia, potrebbe accentuare il nostro individualismo, se non l’isolamento.

Il paradosso del dialogo

È possibile dunque il verificarsi del paradosso che tanto più sarà facile dialogare, tanto meno saremo abituati ad assumere il punto di vista altrui? In altri termini, a comunicare? Come ogni esasperazione, non appare credibile un fenomeno così catastrofico. Sarebbe perfetto per un’opera di science fiction, ma la realtà probabilmente sarà diversa. Anche per la banale ragione che un nuovo mezzo di comunicazione — e la traduzione simultanea può esser considerata tale — non scaccia mai gli altri. Semmai li trasforma. Skype traduttore potrebbe dunque disabituarci a osservare con profondità e consapevolezza lo straniero, a cogliere la complessità di un mondo, però, che si sta sempre più restringendo sul piano fisico e ci mette sempre più a contatto. Questo sì con esiti imprevedibili.

(pubblicato su Medium: https://medium.com/@plurale/le-parole-che-non-ti-ho-detto-a24ea92fac7b)